La cura del cavallo in Italia vanta una gloriosa tradizione, trasmessa per lo più oralmente e attraverso la pratica. Non c’è niente di male in tutto questo, ma la cosa presenta grossi limiti.
Non esistendo in Italia vere e proprie scuole per la formazione di artieri ippici, come esistono in nazioni più evolute dal punto di vista ippico come la Svezia e la Finlandia, l’accudimento e la cura del cavallo venivano trasmessi solitamente sul campo, attraverso l’osservazione e la ripetizione delle attività dell’allenatore o del caposcuderia più esperto. A volte l’esperto era semplicemente il più anziano, la persona che con l’esperienza maturata in decenni di lavoro, ha visto centinaia di casi e ne ha risolti alcuni, per lo più attingendo alle consuetidini più consolidate.
Uno dei miti più duri a morire in campo ippico – ed anche uno dei più dannosi – è che la tintura “vescicante” per funzionare debba produrre un effetto ben visibile: dapprima la famosa “vescica” da cui il nome stesso di vescicante, ad indicare la tintura revulsiva, poi un certo grado di gonfiore e successivamente la “crosta” come testimonianza, “prova provata” del processo di guarigione in corso.
Vediamo come si è formata questa credenza erronea e cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su questo argomento.
La funzione delle tinture è quella di provocare un maggior afflusso di sangue nella zona colpita dalla lesione o affetta dalla patologia, per accelerarne il naturale processo di guarigione. Il maggior afflusso di sangue comporta infatti un aumento dell’essudato infiammatorio, il liquido extravascolare ad elevata concentrazione proteica, che è un naturale immunostimolante prodotto dall’organismo sano nei casi in cui debba far fronte ad emergenze infiammatorie di vario tipo. Quando l’essudato si arricchisce di cellule, globuli bianchi e batteri morti, diventa bianco e cremoso, cioè pus, la cui fuoriuscita è visibile nel processo di cicatrizzazione .
Il principio del “vescicante” quindi non è scorretto, a patto che non si confondano le cause, spesso indesiderate, come le vesciche, il gonfiore e il pus, con gli effetti, cioè il maggior afflusso ematico e l’aumento dell’essudato.
Nelle infiammazioni croniche o nelle lesioni croniche, ad esempio, e in tutti i casi di ridotto o limitato afflusso sanguigno, l’uso del revulsivo vescicante può essere di notevole beneficio.
Il vescicante tradizionale tuttavia contiene sostanze chimiche altamente irritanti, in primis il velenoso mercurio, bandito in molti Paesi europei; in altri prodotti troviamo addirittura vere e proprie bombe, le stesse che vengono utilizzate nella produzione di armi chimiche! Oltre all’indubbio vantaggio del maggior afflusso ematico, l’uso di queste componenti comporta un’accelerazione eccessiva ed indiscriminata del processo infiammatorio cutaneo e a volte sottocutaneo, fino alla formazione di vere e proprie ulcere e piaghe.
Ulcere, piaghe, gonfiore e relative “croste” sono quindi gli effetti collaterali, inevitabili in passato, dell’uso di sostanze sì rubefacenti ma anche altamente irritanti e quindi dannose.
La “crosta”, il gonfiore, ben lungi dall’essere testimonianza dell’efficacia del prodotto, sono invece il segno visibile di un intervento eccessivo, che in passato veniva tradizionalmente interpretato, in un certo senso correttamente, come un passaggio obbligato verso la guarigione.
Ancora oggi il principio sottostante l’intervento con tinture revulsive, come preferiamo chiamarle, rimane valido: la terapia del calore.
Grazie ad una maggior irrorazione sanguigna nei tessuti lesi, nei casi e con le modalità consigliate dal medico veterinario, la tintura revulsiva ottenuta con complessi vegetali naturali può essere un ottimo coadiuvante di un processo che l’organismo mette in moto già in modo automatico.
Senza sostituirsi all’azione naturalmente rigenerante del necessario fermo e riposo, senza gli effetti collaterali di sostanze irritanti e inquinanti, il revulsivo naturale, a base di capsico e cannella, ad esempio, produce un riscaldamento topico a livello profondo e naturale, imitando e sostenendo quanto l’organismo di per sé già attua.
Questo “non si vede”… e per fortuna.
Ma è necessario saperlo, sia per non scoraggiarsi nei primi tempi, sia per non eccedere nell’uso: contengono sostanze naturali, non acqua fresca!
Naturale non è sinonimo di blando. Se “non si vede” non è detto che si debba insistere nell’applicazione e che il principio attivo non stia svolgendo a livello profondo la sua funzione propria di riscaldante e riattivante.
Una corretta informazione è quindi indispensabile.
Senza gettare alle ortiche una lunga tradizione, ricca di indicazioni pratiche valide, è necessario distinguere tra cause ed effetti e tra comportamenti virtuosi e positivi e credenze infondate quando non addirittura dannose.
Per riassumere:
- I rubefacenti naturali funzionano con lo stesso principio del calore dei vescicanti tradizionali
- Le vesciche, le ulcere, il gonfiore e le croste sono gli effetti collaterali di un uso improprio o quanto meno non desiderato di prodotti eccessivamente invasivi e non del tutto salutari
- Un revulsivo naturale può essere un ottimo coadiuvante qualora sia necessario un maggior apporto di sangue, ma non è indicato in altri casi, come ad esempio nelle affezioni acute, quando l’afflusso ematico è già di per sé abbondante e prodotto naturalmente
- Le tinture rubefacenti, anche se naturali, non sono la panacea per tutti i mali: pur accelerando in molti casi il processo di guarigione, non sostituiscono il periodo di fermo e riposo necessari in determinate patologie
- Le tinture rubefacenti naturali non sono acqua fresca: è necessario non abusarne in quantità e modalità di somministrazione, ma seguire caso per caso le indicazioni del medico veterinario.
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